Parlare di vino può sembrare argomento specifico per cultori di enologia o per amanti della buona tavola ma se si pensa alle storie e alle tradizioni che il vino, questo elemento così atavicamente inserito nella vita dell’uomo, suscita e si porta dietro è facile dimostrare che non è così. Il vino è talmente legato alle vicende umane da arrivare anche a stravolgere la vita e i percorsi, la Storia con la maiuscola, di interi territori o regioni del mondo; è successo con lo Champagne che ha reso celebre nel mondo una piccolissima regione della Francia, con il Brunello che ha legato a filo doppio la sua fama con la realtà del piccolo borgo di Montalcino , con lo Zinfandel che emigrò come Primitivo dalla Puglia di Gioia del Colle per andare a rendere famosa la California come culla dei vini statunitensi, oggi anche di ottime caratteristiche. Ma gli esempi potrebbero essere infiniti: per quanti vini esistano, altrettanti vitigni potrebbero raccontare storie di uomini e di imprese fatte di dura fatica e di grandi risultati raggiunti. Tra queste storie fantastiche se ne inserisce a pieno titolo una tutta campana, quella del Pallagrello, un po’ misteriosa e mai abbastanza conosciuta. Come un brigante di memoria borbonica, questo vitigno si aggira tra le colline caiatine, in un territorio ben circoscritto e riconoscibile, dove per secoli ha spadroneggiato e da dove non è mai stato cacciato ma è stato però costretto pure a nascondersi. Infatti, parlando di Borboni, era il Re Ferdinando che nutriva una vera e propria venerazione per quest’uva, ben nota alla sua epoca, da cui si produceva un vino di cui egli andava matto; tanto che, istituendo una vigna a San Leucio, dove aveva voluto raccogliere in un coreografico “ventaglio” tutte le uve principali del suo regno, al Pallagrello fece riservare spazio sia per la varietà a bacca bianca che per quella a bacca rossa. Poi la terribile devastazione della fillossera, pur se arrivata tardi in Campania, ed altre avversità del dopo-unità d’Italia, in primis le guerre, ne fecero quasi perdere le tracce: il brigante Pallagrello non era morto… ma umiliato, sì! Infatti, nonostante le caratteristiche di quest’uva fossero ben note e riconosciute dagli agronomi dell’epoca, come dimostrano gli scritti del Froio di fine ‘800, la varietà a bacca bianca veniva sempre più identificata con la Coda di Volpe, un’uva presente anch’essa sullo stesso territorio ma non ancora nota sul mercato nazionale, mentre quella a bacca nera era confusa con l’aglianico. Ma c’è di peggio: un grappolo tendenzialmente spargolo e dai chicchi piccoli non può dare rese eccezionali e ciò convinse tanti viticoltori a far giungere anche in Campania i ben più prolifici sangiovese e trebbiano. Questa politica della quantità a scapito spesso della qualità ma soprattutto a danno della ricchezza rappresentata dall’unicità e dalla tipicità di una varietà autoctona , è andata avanti almeno fino agli anni ‘80 del secolo scorso. Poi è iniziato un graduale e inarrestabile recupero di tutte quelle biodiversità, sancite nel Registro Nazionale delle uve da vino e nel 2002 è arrivato il turno del “brigante” Pallagrello che, finalmente uscito dalla latitanza, ha ripreso posto con tutti gli onori nel disciplinare IGT Terre del Volturno.
Oggi, il terroir delle colline caiatine, con la sua consistenza argillosa, oltre a segnare un confine netto e riconoscibile tra le province beneventana e casertana, è evidenziato bene dalla prevalente presenza di ulivi, nell’ apprezzata cultivar “caiazzana”, e sempre più sono le piccole aziende che ridanno spazio, attenzione e dignità al Pallagrello, sia bianco che nero. L’esposizione a sud-est delle colline garantisce un’ottima esposizione, assieme alla fresca ventilazione offerta dalla presenza del massiccio del Matese alle loro spalle. La buona vocazione agricola delle colline è pure sancita dalla presenza di castelli, a Caiazzo, a Castel Campagnano, vestigia di un passato nobiliare che in queste terre vedeva un luogo fertile e fonte certa di risorse remunerative. Oggi la tendenza di questo terroir è quella di riprendersi un ruolo trainante, non più da latitante, ed il Pallagrello può ricoprire di sicuro un ruolo da protagonista.
Ma quali siano i profumi, i sentori, le sensazioni organolettiche che questi due vini, il Pallagrello bianco e il Pallagrello nero, sanno suscitare, evocare, non è argomento da trattare qui, ma a tavola con amici che abbiano la nostra stessa voglia di scoprirlo. Venerdì sera, 23 Ottobre, ci ritroveremo con quanti vorranno esserci all’Archimagirus di Telese in una cena-degustazione bagnata dal Pallagrello e poi sapremo dire se pure noi, calandoci per un attimo nei panni di un reale di casa Borbone, avremo avuta voglia di dire con lui – “io escò pazz ppé chistu vinò”!
L’Indicazione Geografica Tipica Terre del Volturno, nella quale oggi rientra a pieno titolo anche il Pallagrello, comprende i Comuni: Capriati al Volturno, Gallo, Fontegreca, Ciorlano, Prata Letino, Valle Agricola, San Gregorio Matese, Pratella, Ailano, Raviscanina, Sant’Angelo d’Alife, Piedimonte Matese, San Potito Sannitico, Castello Matese, Baia Latina, Alife, Gioia Sannitica, Dragoni, Alvignano, Liberi, Ruviano, Chiazzo, Castel Campagnano, Piana di Monteverna, Castel Di Sasso, Pontelatone, Fornicola, Giano Vetusto, Pignataro Maggiore, Pastorano, Castel Morrone, Vitelazio, Bellona, Casigliano, Capua, Grazianise, Santa Maria La Fossa, Cancello Arnone, Castel Volturno, Villa Literno, San Tammaro, Santa Maria Capua Vetere, Macerata Campania, Casapulla, San Prisco, Casagiove, Portico di Caserta, Recale, San Nicola in Strada, Capodrise, Marcianise, Caserta, Maddaloni, Valle di Maddaloni, Cervino, Santa Maria a Vico, Arienzo, San Felice a Cancello, Curti, Casal di Principe, San Cipriano d’Aversa, Villa di Briano, Frignano, Casaluce, Teverola, Carinaro, Gricignano d’Aversa, Succivo, Orta di Atella, San Marcellino, Trentola-Ducenta, Parete, Lusciano, Aversa, Cesa, Sant’Arpino, Casapesenna, San Marco Evangelista (tutti in provincia di Caserta).